"ASCENSIONE" A CIÒ CHE GIÀ SIAMO
Enrique Martínez LozanoLc 24, 46-53
"Cosí sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni. E io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto."
Poi li condusse fuori verso Betania e, alzate le mani, li benedisse. Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. Ed essi, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia; e stavano sempre nel tempio lodando Dio.
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Con le parole che oggi leggiamo conclude il vangelo di Luca. Un vangelo tra le cui caratteristiche particolari alcune compaiono in questo testo:
• Stabilisce un periodo di 40 giorni tra la risurrezione e l'ascensione di Gesú (ai quali ne aggiungerà ancora altri 10 per parlare della Pentecoste, intesa come "venuta dello Spirito sugli apostoli"). In questo modo, stabilisce una cronologia (puramente simbolica), che avrebbe avuto poi un totale successo nella chiesa posteriore.
• L'inizio della missione si stabilisce a Gerusalemme, che per Luca si erge come centro della salvezza.
• A differenza del vangelo di Giovanni -che si presenta in maniera manifesta e addirittura polemica come opposto al tempio- Luca invece si riferisce a questo come luogo di preghiera anche per i seguaci di Gesú.
• La gioia è un altro dei tratti rilevanti di questo vangelo.
In realtà, l'"ascensione" non è qualcosa di diverso dalla "risurrezione", ma un altro modo di parlare dell'"esaltazione" di Gesú al di sopra della morte.
Si tratta di "mappe" con cui l'autore vuole esprimere chiaramente la sua convinzione fondamentale: Gesú vive; la croce non è stata la fine.
Lo "scandalo" della croce viene interpretato alla luce delle Scritture ebraiche ("cosí sta scritto"), facendolo cosí entrare a far parte del "disegno" divino.
Per una coscienza mitica, l'ascensione poteva essere interpretata in modo letterale: Gesú ascende al cielo da dove era venuto. Superato il livello del mito, tale lettura cade, similmente alla credenza letterale nelle fiabe. Tuttavia, la saggezza che contiene rimane vigente.
Simbolicamente -dal nostro livello di coscienza non è possibile intenderla in modo diverso-, l'"ascensione" è un'immagine piena di senso, in quanto evoca la nostra vera identità.
Di fronte ad un materialismo piatto che, dimenticando la dimensione profonda del reale, impoverisce drammaticamente l'umano, l'"ascensione" viene a ricordarci -a "portarci al cuore"- che le cose non sono quello che sembrano, poiché non tutto finisce in ciò che possiamo toccare.
È anche vero che non esiste "un altro mondo" mitico -un "cielo" al di fuori della terra-, ma il Reale, nella sua sorprendente semplicità, è molto piú complesso della corta lettura che ne fa la nostra mente.
Ciò che si vede è soltanto una faccia -quella manifesta-, che rimanda ad un'altra che non si vede -l'immanifesto-, abbracciate entrambe nell'Unità maggiore che le contiene.
Da una prospettiva non-duale, nell'"ascensione" di Gesú ci vediamo riflessi tutti. Le forme manifeste -le nostre individualità- non sono che espressioni della stessa Identità condivisa, che si dispiega attraverso queste.
Cosí come il vuoto primordiale dà luogo ad infinità di forme in cui si manifesta, senza perciò cessare di essere sé stesso né in esse dissolversi, in un modo simile la Coscienza che siamo si esprime in "oggetti" diversi, senza cessare in nessun momento di essere sé stessa.
La nostra follia piú grave consiste nell'identificarci con gli oggetti, al punto di crederci uno tra essi (l'io individuale o ego). La nostra piú grande ignoranza è quella di pensare che siamo esseri separati. Il nostro unico "peccato" è crederci di essere "qualcuno".
Nel far tacere la mente, smettiamo di vedere le cose come questa le vede; usciamo dalla gabbia, in cui ci eravamo rinchiusi e ci ritroviamo con la nostra vera identità, illimitata e atemporale. A questa identità profonda, che non si esaurisce in nessuna forma, e che è non-duale, arriviamo -usando il linguaggio del vangelo- attraverso l'"ascensione".
Se ti pensi, ti vedrai come "qualcuno"; se ti percepisci nel non-pensiero, vedrai solo Coscienza. Finché credi di essere "qualcosa" ritagli per forza la tua identità, perché se sei "questo" non puoi essere "quello". Al contrario, quando sai di essere "nulla" -nulla che la mente possa pensare-, allora ti sperimenti come tutto, cosí come lo hanno visto i mistici.
"Allontanati dall'essere questo o l'altro, o dall'avere questo o l'altro- scriveva nel secolo XIII il Maestro Eckhart-, allora sarai tutto e avrai tutto; e nello stesso modo, se tu non sei né qui né lí, allora ci sei dovunque. E cosí, dunque, se non sei né questo né quello, allora sei tutto." Poiché "non avere nulla è avere TUTTO".
E san Giovanni della Croce: "Per venire a possedere tutto / non voler possedere qualcosa in nulla. / Per venire a essere tutto / non voler essere qualcosa in nulla."
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini