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VEGLIARE PER VIVERE CIÒ CHE SIAMO

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Mt 24, 37-44

Come fu ai tempi di Noè, cosí sarà la venuta del Figlio dell'uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca, e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottí tutti, cosí sarà anche la venuta del Figlio dell'uomo. Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato. Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.

Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebe scassinare la casa. Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.

*****

Sia il riferimento alla storia di Noè che le due brevi parabole che seguono vengono presentate con una sfumatura di "urgenza", che si traduce in una chiamata alla "vigilanza": "Vegliate..., state pronti".

È indubbiamente un invito a rimanere svegli, perché il "Figlio dell'uomo" sta venendo, e solo l'attenzione ci permette di percepirlo.

In una lettura mitica (letterale), la "venuta" si intendeva come qualcosa che doveva avvenire in un futuro piú o meno prossimo, e che avrebbe comportato un giudizio con il corrispondente "premio" o "castigo".

Ma tutto ciò può anche essere letto partendo da un altro "idioma" che, pur rispettando l'intuizione di base, ci offre, però, una prospettiva ampia e attuale.

Sembra che Gesú avesse usato l'espressione "figlio dell'uomo" per riferirsi a sé stesso, e che il suo primo significato -cosí come lo intendeva, tra gli altri, l'esperto Juan Mateos- fosse semplicemente "quest'uomo".

Ma questa stessa espressione potrebbe anche alludere all'"uomo realizzato", all'essere umano evoluto, che ha raggiunto la pienezza. Ed è di questo che si afferma che "sta venendo".

Cosí intesa, l'espressione "figlio dell'uomo" sarebbe, semplicemente, un altro nome della nostra vera identità: ciascuno e ciascuna di noi siamo già esseri realizzati, sebbene non ne siamo ancora consapevoli, per cui rimaniamo chiusi nell'ignoranza circa la nostra vera condizione.

In questo senso, "figlio dell'uomo" sarebbe esattamente l'opposto di "ego". Ed è proprio la nostra identificazione abituale con l'ego che ci impedisce di "vedere" o riconoscere il "figlio dell'uomo" che "sta venendo", ovvero che sta volendo mostrarsi.

Infatti abbiamo solitamente un'immagine di noi stessi quali esseri carenzati, che si sentono spinti a cercare "fuori" di sé ciò che, presumibilmente, colmerebbe tale carenza.

È questa la ragione per cui l'ego vive permanentemente proiettato verso il futuro, in una corsa cosí interminabile come sterile, con un carico di ansietà sempre piú insopportabile.

Dovuto a questa stessa dinamica, viviamo frequentemente dispersi -" mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito", intrattenuti o distratti. Dovremmo invece, secondo la parola di Gesú, "vegliare".

Siamo intrattenuti perché non sappiamo "intra-tenerci": ci riesce difficile stare a nostro agio con noi stessi perché probabilmente non abbiamo imparato ad amarci di un modo umile e incondizionato. Non è strano che, nel provare malessere o paura del nostro mondo interiore, scegliamo la "distrazione" o l'"intrattenimento".

D'altra parte, viviamo dispersi e ansiosi perché siamo cresciuti con l'idea -alimentata dalla nostra mente- che ci manca "qualcosa", che presumibilmente si trova "fuori" di noi, con cui riusciremmo, finalmente, a godere la felicità desiderata ansiosamente.

Ebbene, di fronte ad entrambe le tendenze, la parola ci invita a "vegliare", vale a dire, a vivere nell'attenzione o nella consapevolezza di chi siamo e di che cosa facciamo.

Attenzione amorosa per poterci riconciliare con tutta la nostra verità, per potere viverci come amici di noi stessi e sperimentare il gusto profondo di abitarci consapevolmente.

Consapevolezza lucida per riconoscere che non siamo l'"io carente" (o ego) che la nostra mente pensa, ma il "figlio dell'uomo", la Pienezza illimitata, la Vita senza limiti che, temporaneamente, ha preso la forma del nostro io individuale.

Questa consapevolezza lucida equivale a "vegliare": siamo "svegli" circa la nostra vera identità. E, a partire da questa, tutto acquisisce un altro sapore. È qui per l'appunto che "connettiamo" profondamente con la Presenza di Gesú di Nazaret, con la Presenza di ogni uomo e di ogni donna, poiché l'identità del "figlio dell'uomo" è un'identità condivisa. Come ha scritto Tomas Tranströmer, in una bella frase ispirata, "ogni persona è una porta socchiusa che conduce ad una stanza comune".

In effetti, l'espressione "figlio dell'uomo" sarebbe equivalente all'"Io Sono" universale, del quale il saggio Vidyaranya affermava: "La conoscenza dell'Io ci porta ad identificarci con gli altri cosí intensamente come uno si identifica con il proprio corpo".

 

Enrique Martínez Lozano

Traduzione: Teresa Albasini

www.enriquemartinezlozano.com

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