COLTIVARE LA NOSTRA CAPACITÀ DI VEDERE
Enrique Martínez LozanoGv 1, 29-34
Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesú venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo! Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele". Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".
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Come i sinottici, anche l'autore del quarto vangelo fa del battesimo di Gesú l'avvenimento con cui ha inizio la sua attività pubblica. Un altro indizio, non solo della storicità di questo fatto, ma del ruolo decisivo che giocò nella propria evoluzione umana/spirituale di Gesú.
D'altra parte, anche nel quarto vangelo si avverte la polemica con i discepoli del Battista, che porta l'autore a sottolineare il primato del maestro di Nazaret e a far diventare Giovanni addirittura un "cristiano", che "ha visto" e "rende testimonianza" che Gesú è "il Figlio di Dio".
Sappiamo che "vedere" e "rendere testimonianza" costituiscono due espressioni tipicamente giovannee, che definiscono l'essere e la missione del discepolo: questi è uno che "ha visto" e, per questo motivo, può "rendere testimonianza".
Cosí appare in diversi brani del vangelo e anche nelle Lettere di Giovanni: "Noi l'abbiamo veduto e di ciò rendiamo testimonianza" (Gv 19,35; 21,24; 1Gv 1,1-3).
Che cosa "ha visto" Giovanni? Un uomo pieno di Spirito. Ovvero lo Spirito vivendosi in forma umana. A mio parere, è cosí che bisogna leggere questo racconto, oltre la letteralità che si mostra nell'immagine mitica della "colomba".
È probabile che Giovanni potesse vederlo, grazie alla trasparenza del proprio Gesú. Come ha detto Jean Sullivan, in una delle affermazioni piú belle che, secondo me, sono state fatte su di lui, "Gesú è quello che avviene quando Dio parla senza ostacoli in un uomo".
Ogni volta che abbiamo la fortuna di incontrare una persona "trasparente" -non "perfetta", ma umile-, riesce piú facile il riconoscere, apprezzare, "vedere" il Mistero che la (ci) abita.
Sembra però che non sia sufficiente incontrare una persona cosí, ma,
abitualmente, si richiede anche l'avere sviluppato la propria "capacità di vedere", vale a dire un "saper guardare", che trascende ciò che è puramente materiale e ciò che è semplicemente mentale.
Se guardiamo solo dalla mente, anche se è lo stesso Gesú, non riusciremo che a vedere un essere separato, per quanto lo proclamiamo "divino". Perché la mente ci offre una visione inesorabilmente frammentata e pertanto deformata del reale. Dato che per la mente tutto esiste separato, ci fa cadere nell'inganno grossolano di credere che la realtà sia tale e quale la stessa mente la vede.
Tuttavia, ciò che la mente ci offre non è una "fotocopia" del reale, ma soltanto la sua "interpretazione", completamente condizionata dai suoi filtri limitanti. Ossia, ciò che pensiamo non ha niente a che vedere con ciò che è.
I saggi sono sempre stati consapevoli del fatto che esistevano diversi livelli di realtà, ai quali si poteva accedere attraverso differenti organi di conoscenza. Cosí, in un'espressione che sarebbe stata definitivamente coniata da san Bonaventura -anche se, prima di lui, nel XII secolo, fu usata dai monaci Ugo e Riccardo di San Vittore-, parlavano dell'"occhio della carne", "l'occhio della ragione" e "l'occhio dello spirito" ("occhio della contemplazione" o "terzo occhio"). (Ai giorni nostri, Ken Wilber ha ripreso questo argomento in Los tres ojos del conocimiento. La búsqueda de un nuevo paradigma, Kairós, Barcelona 1991; ID., El ojo del espíritu. Una visión integral para un mundo que está enloqueciendo poco a poco, Kairós, Barcelona 1998).
Ci impoveriamo quando ci riduciamo all'"occhio della carne" -in una specie di positivismo scientista- o all'"occhio della ragione". Come ha scritto lo psicologo italiano Giorgio Nardone, "è una perversione dell'intelligenza credere che la ragione risolva tutto".
È necessario recuperare il "terzo occhio". O, altrimenti detto: oltre all'"intelligenza operativa", è urgente coltivare lo sviluppo dell'"intelligenza spirituale". Ci giochiamo nientemeno che la possibilità di rispondere adeguatamente alla domanda: "chi sono io?"
Solo "l'intelligenza spirituale" -il "terzo occhio" dei classici- ci rende capaci di "vedere" la realtà nella sua dimensione piú profonda, in modo da avvertire il Mistero in tutto ciò che ci circonda, compresi noi. E, come Giovanni, solo vedendolo potremo "rendere testimonianza".
La qualità umana, il futuro dell'umanità e del pianeta dipende dal fatto che sappiamo "vedere" in questo modo.
Quando guardiamo Gesú cosí, ciò che vediamo -come il Battista- è lo Spirito. E questo senza alcun tipo di separazione, per cui, contemporaneamente, stiamo vedendo noi stessi: ogni volto è il nostro volto. Perché, al di là di tutti i meandri aneddotici dell'esistenza, ciò che rimane è la certezza stessa che, dietro le confusioni degli ego, c'è lo Spirito che sorride dolcemente nel trovare sé stesso e sentirsi Uno dietro gli apparenti grovigli e
bivi.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini