LA CROCE E IL SILENZIO DI GESÚ
Enrique Martínez LozanoMt 27, 11-54
Gesú intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?" Gesú rispose "Tu lo dici." E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla. Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?" Ma Gesú non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.
Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta. Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba. Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesú chiamato il Cristo?" Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua." Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesú. Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?" Quelli risposero: "Barabba!" Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesú chiamato il Cristo?" Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!" Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?" Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!"
Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre piú, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!" E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli." Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesú, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.
Allora i soldati del governatore condussero Gesú nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte. Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!" E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo. Dopo averlo cosí schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.
Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui. Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio, gli diedero da bere vino mescolato con fiele; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere. Dopo averlo quindi crocifisso, si spartirono le sue vesti tirandole a sorte. E sedutisi, gli facevano la guardia. Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "Questi è Gesú, il re dei Giudei."
Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.
E quelli che passavano di là lo insultavano scuotendo il capo e dicendo: "Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla Croce!" Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano: "Ha salvato gli altri, non può salvare sé stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo. Ha confidato in Dio; lo liberi lui ora, se gli vuol bene. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!" Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.
Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra. Verso le tre, Gesú gridò a gran voce: "Elí, Elí, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?" Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia." E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala di aceto, la fissò su una canna e cosí gli dava da bere. Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!" E Gesú, emesso un alto grido, spirò.
Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono, i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti. Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesú, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!"
*****
Diversi elementi richiamano l'attenzione in questo racconto della passione fatto da Matteo.
• L'interesse per "colpevolizzare" le autorità giudaiche -e, parallelamente, "discolpare" quelle romane- della morte di Gesú. Sembra esserci una doppia intenzione di fondo: esprimere lo scontro con il giudaismo, che era già frontale negli anni 80, e non "molestare" i romani, sotto il cui impero si stavano estendendo le comunità. A questo bisognerebbe aggiungere, probabilmente, l'intenzionalità di rendere manifesta l'innocenza di Gesú.
• L'incoerenza del potere che, pur essendo consapevole dell'innocenza del reo, decide comunque la sua condanna.
• Le torture subite dal condannato, che richiamano al nostro sguardo tanti uomini e tante donne torturati in tanti modi lungo tutta la nostra storia umana.
• Gli scherni dell'autorità religiosa, che ricordano, d'altronde, le tentazioni che accompagnarono la vita di Gesú.
• Le parole che pone sulla bocca di Gesú moribondo ("Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?"), le quali non sarebbero state pronunciate da lui stesso, ma raccoglierebbero il sentire del primo evangelista (Marco), e che sono state prese dal Salmo 22.
• I segni apocalittici che usa l'autore per sottolineare la trascendenza di quella morte, vista a partire dalla sua propria fede...
Tuttavia, in questa occasione, quello che ha piú "toccato" il mio cuore è stato il silenzio di Gesú. Fatta eccezione di quelle con cui si inizia il Salmo 22, e che sembrano essere un'attribuzione dell'autore, dalle labbra di Gesú non esce una sola parola. Persino nell'interrogatorio a cui viene sottoposto da Pilato, causando stupore in lui, Gesú tace.
Esistono, certamente, diversi tipi di silenzio: il silenzio imposto, il mutismo per scelta, quello che esprime indifferenza, o vigliaccheria, o addirittura disprezzo o squalificazione dell'altro... Non sembra che il silenzio di Gesú possa inserirsi in nessuna di queste categorie.
Personalmente, riesco a vedere tre livelli in questo silenzio: da un lato, è espressione di dignità, propria di chi è stato ed è fedele a sé stesso; dall'altro, di fiducia, caratteristica di chi si sa sostenuto e appoggiato, al di là delle circostanze mutevoli; e, infine, in una dimensione ancora piú profonda, di sapienza ovvero di connessione con la sua identità piú profonda.
Sia la dignità che la fiducia non sono difficili da capire, soprattutto tenendo presente che erano stati segni distintivi della prassi e del messaggio del maestro di Nàzaret.
Ma, che cosa significa che questo silenzio sia espressione di sapienza? I saggi e i mistici hano qualcosa da dirci al riguardo: per essi il silenzio non è mutismo, bensí condizione necessaria per percepire in profondità, vale a dire per accedere a quella verità cui il ragionamento non può accedere. Di fatto, tutti loro hanno parlato del vuoto, dell'oscurità, del non-sapere, del non pensiero..., quale requisito previo alla conoscenza piú profonda.
E non solo. Il silenzio, cosí inteso, non è unicamente assenza di rumore, assenza di pensiero e assenza di ego, pur includendo tutto ciò. È, essenzialmente e fondamentalmente, uno stato di coscienza, Quello che siamo in profondità, Ciò che costituisce la nostra vera identità.
In questo senso, l'opposto di "silenzio" è identificazione con la mente, e con l'identità che questa pensa: l'ego. Da qui, viviamo necessariamente reagendo a ciò che accade, a ciò che ci dicono o ci fanno, a partire dai meccanismi propri dell'ego e nella sua prospettiva.
"Silenzio" è un altro nome della nostra identità vera, quella che non può essere pensata, perché non è oggettivabile. Ci evoca il "Nulla" di Giovanni della Croce o di Miguel de Molinos, il Vuoto dello zen, o il sunyata del buddismo.
Molinos vi si riferiva con queste parole: "Entra nella verità del tuo nulla e di nulla ti preoccuperai... Oh, che tesoro scoprirai se fai del nulla la tua dimora!... Se sei chiuso nel nulla, dove non giungono i colpi delle avversità, nulla ti darà pena, nulla ti inquieterà. Per di qui arriverai alla padronanza di te stesso, poiché solo nel nulla regna il perfetto e vero dominio."
Nell'entrare in connessione con la nostra vera identità, prendiamo le distanze dalla mente e da tutti i suoi movimenti (mentali ed emozionali), e ci è regalato l'accedere a quella "Spaziosità" senza confini che siamo -pura coscienza di essere- e che si può ben definire come "Silenzio".
Silenzio è la dimora del saggio: a partire dal silenzio si vive, o meglio, permette che la Vita viva, si esprima e fluisca attraverso la sua persona. Non ci sono quindi reazioni, ma semplicemente risposte.
In tutto il processo giudiziario che sarebbe finito nella tortura e nell'esecuzione, Gesú vive in connessione con la sua vera identità, nel Silenzio, dove si sente in salvo e da dove può vivere anche la piú grande ingiustizia con occhi di fiducia e di perdono verso i suoi boia.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini