LA REALTÀ È TRINITARIA
Enrique Martínez LozanoMt 28,16-20
Potrebbe certo dirsi che il "ritmo" ultimo di tutto ciò che è Reale è trinitario: donazione – accoglienza – movimento che lo rende possibile. Lo si può apprezzare nelle sue diverse manifestazioni. Ed è quello che avviene, per esempio, nel respirare: accogliamo e offriamo grazie al movimento che fa sí che questo sia possibile.
Tuttavia, ciò che denominiamo "tre momenti" sono una sola e unica realtà. E cosí lo si può percepire a tutti i livelli della realtà: un mistero dell'accogliersi e l'offrirsi, nello stesso movimento.
In questo senso, mi sembra saggia l'intuizione del maestro Raimon Panikkar, quando parlava della "realtà cosmoteandrica". Cosmo, umanità e divinità costituiscono i "tre momenti", la "tripla dimensione" della Realtà Una. In modo tale che non può esserci l'uno senza l'altro. Fin qui arriva l'Abbraccio non-duale.
Nella tradizione cristiana, se evitiamo il tranello del dualismo mentale, potremo "leggere" il mistero della Trinità come espressione della Realtà Una e, allo stesso tempo, diversa. Vale a dire, Trinità sarebbe un altro modo di parlare di Non-dualità.
Nel simbolo trinitario, il Padre è l'Offrirsi, il Figlio è l'Accogliersi e lo Spirito è il Dinamismo che rende possibile sia l'offerta sia l'accoglienza. Ma questo grande simbolo cristiano non fa riferimento a "tre singole persone" -il tranello infatti fu quello di tradurre "persona" come "individuo"-, bensí alla Realtà tutta.
Nel mistero della Trinità nulla rimane fuori. Di qui la saggezza della "intuizione cosmoteandrica": il "Padre" evoca la Fonte originante, che è il puro offrirsi in permanenza e "vuotarsi" nel "Figlio", che è tutta la realtà ricevuta (umana e materiale), in quanto "forme" sulle quali si "versa" costantemente quella Fonte. Lo "Spirito" è l'Alito che, senza separazione, unisce entrambe le "fasi" di questo movimento atemporale ed eterno.
In questo senso si può parlare di Dio come di una "ex-tasi" permanente. Piú che sostantivo Dio è verbo: un puro Offrirsi e Accogliersi, nel quale tutto (tutti) è (siamo) incluso (inclusi).
"Figli nel Figlio", come segnala la teologia paolina, tutti noi facciamo parte di questo movimento trinitario. Accogliendoci costantemente, riusciamo ad entrare in questo movimento nella misura in cui ci offriamo. Quando invece ci chiudiamo all'offerta, in un movimento di appropriazione, sbagliamo completamente. Ed è proprio questo che avvelena la nostra vita.
Ciò che riceviamo senza legarlo fa crescere il nostro spazio interiore, sino a trasformarci in canale lungo il quale fluisce la Vita, lo Spirito.
Quando invece ci afferriamo alle cose, alle idee, alla propria immagine, stiamo bloccando il processo stesso, e ci poniamo contro la "corrente trinitaria" della Realtà.
Imparare a fare silenzio in noi stessi -meditare- non è altro che addestrarci nell'arte dell'accoglierci e dell'offrirci, del ricevere e dello sciogliere."
Forse per questo la (abitualmente) "prima" pratica meditativa non è altra che la respirazione cosciente. Nella misura in cui prestiamo un'attenzione cosciente alla respirazione, la mente fa silenzio, si va producendo l'unificazione fra mente, corpo e presente, allo stesso tempo in cui si apre una spaziosità interiore, nella quale riconosciamo la nostra identità piú profonda.
Ma in questa stessa pratica impariamo anche che la Realtà intera partecipa di questo stesso movimento respiratorio dell'accogliersi e l'offrirsi. E quello che facciamo, sia pure con delle distrazioni, durante il tempo della pratica, andrà progressivamente "contagiando" il resto della nostra vita e facendo in modo che viviamo sempre piú all'interno di questo "movimento trinitario".
Il Mistero della Trinità -come peraltro ogni mistero- non vuole essere una "informazione" per la nostra mente, che lo trasforma rapidamente in una credenza oggettivata (e che trasforma Dio in tre "oggetti" separati), ma un'evocazione che vuole trascendere la mente e un invito a vivere coscientemente connessi alle Viscere stesse della Realtà, senza alcun tipo di separazione.
In questa connessione si produce un'esperienza unificatrice: ci ancoriamo alla nostra vera identità e, simultaneamente, ci sentiamo uniti a tutto quello che è. Nella misura in cui ci lasciamo raggiungere da questa esperienza e viviamo connessi ad essa, stiamo partecipando coscientemente del Mistero della Trinità.
Siamo abitati, o forse sarebbe meglio dire costituiti, da una spaziosità interiore, atemporale e illimitata, cui possiamo accedere in modo immediato e diretto. Non occorre cercarla: siamo già essa. Non possiamo né pensarla né delimitarla poiché non è un oggetto mentale. E solo quando siamo essa, la conosciamo. È in essa che si abbraccia tutto il mistero della Realtà.
Nell'accedervi, riconosciamo la nostra identità profonda. Non siamo l'io che la nostra mente pensa -che non è che una "idea dell'io"-; non siamo la somma dei nostri pensieri, ricordi, progetti, sensazioni, sentimenti, desideri, bisogni, paure, aneliti, aspirazioni... Non siamo l'io che "reagisce" secondo quello che gli arriva dall'esterno o dal proprio psichismo. Siamo quella stessa Spaziosità, all'interno della quale tutto quello che ho appena nominato sono soltanto oggetti che essa contiene e attraverso i quali, in questo momento, si esprime.
Vorrei insistere però sul fatto che, se perdiamo il contatto o blocchiamo questa spaziosità con i nostri bisogni, le nostre paure o i nostri pensieri riduttivi, ci ritroveremo rinchiusi nel labirinto di una falsa identità, un vero e proprio vicolo chiuso.
Qualcosa di simile accade quando nominiamo o ci riferiamo a questa Realtà come "Dio". Dio è il nome che le religioni danno a questa Spaziosità che ci abita e costituisce, per cui il nostro fondo ultimo non è diverso dal Principio divino.
Tuttavia, se io "occupo" questa spaziosità illimitata con i nomi che la mia mente le attribuisce, con le mie idee o credenze religiose intorno a Dio, e assolutizzo queste, può capitare che le mie parole su Dio mi impediscano di lasciargli spazio. In questo modo, sarò cosí pieno o "occupato" dalle mie credenze che non lascerò spazio perché Dio sia in me. Sarà rimasta in me la parola "Dio" -e potrò perfino credermi molto "religioso"-, ma mi sarò sconnesso dall'esperienza.
Questo è, a mio avviso, quello che succede quando persone religiose fanno del male in nome di Dio: non agiscono avendo come fonte Dio -sebbene cosí lo proclamino-, ma a partire dalla "loro" idea o caricatura di Dio.
Quando lasciamo Dio essere Dio in noi, da qui non può nascere altro che non sia unificazione e unità, equanimità e bontà.
In questa Spaziosità interiore che siamo, ci riconosciamo -insieme con tutti gli esseri- "battezzati nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo". Matteo lo percepí cosí, benché lo restringesse ad un rito particolare.
Essere "battezzati" nella Trinità non è altro che essere inseriti in quel movimento universale di interrelazione di tutto, retto dall'Offrirsi e l'Accogliersi in permanenza.
È questa l'Unità cui fa riferimento Gesú, come "Em-manuele": "Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo". Tutti siamo in tutti, nella Spaziosità una e condivisa, in cui si realizza il dispiegarsi trinitario.
E in questa Spaziosità che siamo, ciascuno di noi va trovando il proprio cammino, il cammino inedito cui si riferiva il poeta León Felipe:
"Nessuno andò ieri
né va oggi
né andrà domani
verso Dio
seguendo il mio
stesso cammino.
Per ogni uomo serba
un raggio nuovo di luce il sole...
e un cammino vergine Dio."
Traducción de Teresa Albasini