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LA VITA È UN APRIRE PORTE

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Mc 7, 31-37

Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: “Effatà”, cioè “Apriti!” E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma piú egli lo raccomandava, piú essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!”

*****

La nostra curiosità resta frustrata quando vuole sapere cosa successe esattamente in ciascuna delle situazioni in cui il vangelo parla del potere sanatore di Gesú.

Tuttavia, questo non ha molta importanza. Indubbiamente, ci dovette essere qualcosa di oggettivo per far sí che la gente proclamasse che “ha fatto bene ogni cosa”. Ma, al di là del dato storico -che, se si assolutizza, si riduce ad un semplice aneddoto privo di significato per noi, ciò che importa è la lettura simbolica (profonda), che è atemporale e, per questo stesso motivo, capace di “toccarci” anche oggi il cuore.

L'autore del vangelo trasmette la parola chiave nella stessa lingua di Gesú, l'aramaico: “Effatà”, apriti! Nella lettura simbolica, mettendoci un minimo di attenzione, non appena viene pronunciata essa pone la domanda: A cosa o in cosa ho bisogno di aprirmi?

Il sordomuto aveva bisogno di aprire gli orecchi e la lingua, ma tutti noi abbiamo bisogno di aprire una qualche dimensione della nostra persona, o forse una capacità assopita o bloccata.

È probabile che, in genere, l'apertura sia progressiva: a mano a mano che accediamo ad aprire qualcosa in noi, ci si mostrerà il passo successivo da fare. Come se si trattasse di un gioco di porte che si succedono una dopo l'altra, cosí sembra essere il nostro mondo interiore. Ogni apertura ci mette davanti ad una nuova “porta” che chiede di essere aperta. E nel cammino ci addentriamo via via in spazi sempre piú genuini e interiori, fino ad arrivare a riconoscerci finalmente nella Spaziosità senza limiti che siamo. Ma, abitualmente, l'accesso a questa spaziosità originaria richiederà tutto il cammino interiore.

Quali porte bisogna aprire? Capacità assopite (amore, tenerezza, gioia, generosità, solidarietà, libertà...), difese protettrici che sono diventate un'armatura ossidata (paure, ritrosia, immagine idealizzata...), “manie” in cui ci siamo installati, abitudini e routine che ci tengono chiusi in una gabbia di agiata comodità...

Ciò che appare certo è che l'apertura a spazi interiori va accompagnata dall'apertura agli altri esseri e a tutta la realtà. Questa sembra essere la strada che porta alla scoperta del fatto che siamo uno.

Il grande Leonardo da Vinci scriveva che “il colore del corpo illuminato partecipa del colore del corpo che illumina”. Come se di un gioco di specchi si trattasse, tutti ci riflettiamo in tutto, perché tutto è uno e c'è soltanto un'unica luce, che in ogni cosa si specchia.

È la stessa cosa che hanno visto i mistici. Ramakrishna (1836-1886) raccontava che una bambola di sale aveva voluto misurare la profondità del mare. Non appena mise i suoi piedi nell'acqua, cominciò a farsi una con il mare. Piú camminava piú era affascinata dall'oceano; si lasciò prendere dall'acqua e tutte le sue particelle di sale si dissolsero nel mare. Era venuta dall'oceano e ritornò alla sua sorgente originaria. Il “differenziato” si era di nuovo unito all'”indifferenziato”. Al-Hallaj (857-922) esclamava: “Fra io e Te c'è un “sono io” che mi tormenta. Si allontani da noi il mio “sono io”! E Teresa d'Avila (1515-1582), nella settima dimora del suo Castello interiore sperimentava che l'anima si univa a Dio “come se un ruscelletto piccolo entra nel mare, che non potrà piú separarsene; o come se in una stanza ci fossero due finestre dalle quali entrasse grande luce: anche se vi entra divisa, si fa tutto una luce.”

Mistici e saggi, uomini e donne che, aprendo porte successive, dalle piú semplici alle piú complesse, arrivarono a sperimentare quella Spaziosità condivisa per la quale sospira il nostro Anelito, e alla quale conducono tutte quelle porte.

 

Enrique Martínez Lozano

www.enriquemartinezlozano.com

Traduzione: Teresa Albasini

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