DOVE CI GIOCHIAMO TUTTO
Enrique Martínez LozanoLc 9, 51-62
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: "Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?" Ma Gesú si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio.
Mentre andavano per la strada, un tale gli gisse: "Ti seguirò dovunque tu vada". Gesú gli rispose: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo". A un altro disse: "Seguimi". E costui rispose: "Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre". Gesú replicò: "Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio". Un altro disse: "Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa". Ma Gesú gli rispose: "Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio".
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Luca "costruisce" un lungo viaggio, da Galilea fino a Gerusalemme, che svilupperà lungo dieci capitoli piuttosto estesi (da 9,51 a 19,28), in cui Gesú si dedicherà prevalentemente ad insegnare ai suoi discepoli.
L'autore presenta il viaggio a partire dalla certezza che questo conduce non solo alla capitale degli ebrei, Gerusalemme -che il terzo vangelo pone come "centro" della salvezza, e cosí apparirà anche nell'altro libro di Luca Gli Atti degli Apostoli-, ma alla destinazione finale di Gesú, al cielo.
E, compreso in questo obiettivo di "formare i discepoli", proprio all'inizio del percorso vengono presentati quattro brevi "insegnamenti", sotto forma di aforismi che, in un primo momento, sembrano quanto meno sconcertanti, e che ricordano, in un certo senso, i detti di Gesú nel Vangelo apocrifo di Tomaso. Basta però adottare una prospettiva adeguata per percepire tutta la loro saggezza, profondità e bellezza.
· Il primo è un'argomentazione silenziosa contro ogni tipo di fanatismo, che non è altro che espressione della paura e dell'arroganza, caratteristiche proprie dell'ego. Un ego insicuro cercherà di eliminare la dissidenza, perché la percepisce come minaccia per le sue (fragili) idee e perché ha bisogno di sentirsi "superiore" o in possesso della verità (assoluta).
· Il secondo rivela l'attitudine di chi vive disappropriato dell'ego. L'ego ha bisogno di "cose" di cui appropriarsi per sentirsi esistere: la sua sensazione di identità dipende sempre da "qualcosa", poiché lui è pura finzione. Chi non si identifica con l'io, invece, si percepisce come Vuoto, che è Pienezza. Sperimentare questa vacuità integrale significa non essere stabilito da nessuna parte, né avere un luogo dove posare il capo. È una semplice lucidità -pura consapevolezza, attenzione nuda- senza centro né periferia, nella quale tutto accade spontaneamente. È un'accettazione illimitata della circostanza presente, un'apertura totale che permette che sorga il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e che piova sopra i giusti e sopra gli ingiusti...
· Il terzo e il quarto sono praticamente identici; o meglio, due modi di mettere l'accento sulla stessa realtà, in contrasto con due "obblighi" fondamentali per un ebreo pio: seppellire i morti e occuparsi della famiglia.
Che cosa può esserci di cosí importante da anteporsi a questi due principi "sacri" per un ebreo? Gesú gli dà un nome: il Regno di Dio.
Tra i diversi significati che questa espressione racchiude -e che dipendono anche dalla prospettiva adottata- appare innegabile che, con essa, si allude al Mistero ultimo del Reale, l'unica cosa cui vale decisamente la pena subordinare tutto il resto.
Cos'è quell'unica cosa? Certamente, non è qualcosa di "separato" da chi siamo. Poiché ciò che costituisce l'ipseità del reale non potrebbe mai essere "lontano" da nessuna cosa reale. È Quello da cui non possiamo spostarci nemmeno di un capello.
Nel linguaggio religioso, lo si è chiamato "Dio". Ma un Dio dal quale uno potesse "allontanarsi" o "separarsi" non sarebbe piú Dio, ma una creazione della mente, che proietta "fuori" tutto ciò che pensa.
In un linguaggio non religioso, piú inclusivo, Ciò che è ineffabile e innominabile, perché si trova oltre i concetti e le parole, è Ciò che è, e che anche noi siamo. Quello che ci impedisce di vederlo non è altro che il fatto di esserci ridotti al nostro ego.
La parola di Gesú viene a dirci: finché non scoprirai chi sei, qualunque cosa tu faccia -pur vedendola come un servizio ai morti o ai parenti- non farà che trattenerti, distrarti o depistarti. Cerca la cosa principale e... "tutte le altre cose ti saranno date in aggiunta" (vangelo di Matteo 6,33).
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini