MARIA E IL FIGLIO, METAFORE DEL REALE
Enrique Martínez LozanoLc 1, 26-38
Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il signore è con te". A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesú. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine". Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo". Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio". Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partí da lei.
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Se ci accostiamo da una prospettiva non-duale al conosciuto racconto dell'"annunciazione", possiamo leggerlo come una metafora di tutta la nostra realtà.
È chiaro che, in origine, si tratta di un racconto mitico. In quell'"idioma" gli esseri celesti abitavano in un livello superiore e intervenivano miracolosamente nella vita degli esseri umani.
Usando questo linguaggio, Luca presenta Maria come la donna scelta per diventare la madre-vergine del Figlio di Dio. Sempre in questo "idioma", l'autore del vangelo sottolinea gli aspetti che gli sembrano piú rilevanti:
• il saluto da parte di Dio, un saluto di gioia e di benedizione;
• il messaggio di fiducia, caratteristico delle teofanie: "non temere";
• la presentazione della persona di Gesú come Messia e Figlio di Dio, il che "richiederebbe" che nascesse senza concorso di uomo, come una maniera di segnalare che è "tutto" di Dio.
• la potenza di Dio, per il quale "nulla è impossibile";
• la docilità di Maria, che si arrende a Dio in accettazione senza riserve.
Tutto questo contenuto si può anche assumere partendo da una posizione teistica. In questo caso, è stata fatta la "traduzione" dall'"idioma mitico" a un "idioma razionale".
Ma è ancora possibile un'altra traduzione per coloro che si trovino ad un altro livello di coscienza e si accostino alla realtà da una prospettiva non-duale.
In questo caso, dove tutto viene percepito come "riflesso" di tutto, in una unità senza cuciture, Maria è una metafora di tutta l'umanità: la parte "visibile" in cui si esprime e manifesta il Mistero invisibile ("Dio"), destinata a dare alla luce il Figlio, metafora a sua volta dell'unità umano-divina che siamo tutti.
In questa prospettiva, tutti siamo, nello stesso tempo, Maria e il Figlio. "Maria" rappresenta il "processo gestante" che va dando alla luce la pienezza. Il "Figlio" è questa stessa pienezza che abbraccia tutto.
Nel riconoscerci come "Figlio" ci accorgiamo della Pienezza che già siamo; l'abbraccio eterno tra il Vuoto e le Forme, l'Immanifesto e il Manifesto. Nel riconoscerci come "Maria" diveniamo consapevoli dell'Anelito che fluisce attraverso noi per far sí che diventiamo canali che permettano a Dio di vivere in ogni forma quotidiana.
Siamo, dunque, pienezza, che, nel livello relativo, percepisce la sua vita come "processo".
In quanto pienezza, il nostro nome piú profondo è Gioia, Grazia, Benedizione, Fiducia, Forza... In quanto "processo", siamo chiamati a vivere un atteggiamento di accettazione e di resa a Ciò che è. La preghiera teistica lo esprime con questa espressione: "avvenga di me quello che hai detto", che ci ricorda quello che piú tardi dirà lo stesso Gesú: "non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu" (Mc 14,36).
Davanti a "Dio", davanti al Mistero di Ciò che è, non è possibile un altro atteggiamento che non sia la resa. L'ego si ribella perché la intende come conformismo, passività o indifferenza. In realtà l'ego vi oppone resistenza perché non vuole smettere di tenere tutto "sotto controllo". Nonostante non controlli niente, mantiene l'illusione di farlo. E, nonostante i suoi interventi non facciano che rovinare la realtà, vive dell'illusione -ribattuta per secoli e secoli di esperienza- che lui sarà capace di far finire la sofferenza umana.
La resa, al contrario, ci immette nel sentiero della saggezza, ci riconcilia con il Reale, ci allinea con il momento presente... Finisce la resistenza e l'appropriazione. Ed è allora che permettiamo che la Saggezza che regge ogni cosa possa agire attraverso noi. Perciò, solo quando ci arrenderemo al Reale, senza che l'ego si appropri dell'azione, verrà fuori l'azione adeguata.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini