PADRE/FIGLIO: LE DUE FACCE DEL REALE
Enrique Martínez LozanoMt 3, 13-17
In quel tempo Gesú dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: "Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?" Ma Gesú gli disse: "Lascia fare per ora, poiché conviene che cosí adempiamo ogni giustizia". Allora Giovanni acconsentí. Appena battezzato, Gesú uscí dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".
•••••
I racconti evangelici associano l'inizio dell'attività pubblica di Gesú al fatto di essere battezzato da Giovanni. Questo avvenimento segnerebbe cosí un punto d'inflessione significativo nella vita del maestro di Nazaret. Allo stesso tempo, devono trovare una spiegazione di fronte ai discepoli del Battista che, basandosi su questo fatto, affermavano la superiorità del loro maestro rispetto a Gesú.
Matteo rimanda ad un qualche disegno divino, non senza prima mettere sulla bocca dello stesso Giovanni la propria sottomissione: "Io ho bisogno di essere battezzato da te". Con questo chiarimento, indotto dalla polemica tra i discepoli dell'uno e dell'altro, il racconto s'incentra nella proclamazione per mezzo della quale Gesú viene presentato come l'inviato, il "figlio amato".
Questa proclamazione è accompagnata da alcuni tratti caratteristici di una teofania: l'aprirsi dei cieli, l'immagine della colomba e la voce dall'alto. Tutto ciò per indicare che è Dio stesso che irrompe nella persona di Gesú, il quale viene presentato come figlio prediletto, abitato dallo Spirito.
Se leggiamo tutto questo partendo da un livello mentale, non c'è nient'altro da aggiungere: il Figlio di Dio viene a salvare le nostre anime.
Ma l'evoluzione della coscienza ha fatto sí che siamo divenuti consapevoli di nuovi dati che ormai è impossibile ignorare, tra i quali due che riguardano questo argomento:
1. L'io è soltanto una finzione mentale; la nostra confusione e sofferenza scaturiscono dal fatto che ci siamo ridotti ad esso; non occorre quindi "salvare l'io", bensí imparare a "liberarcene" (nel senso di non considerarlo la nostra identità).
2. Esiste un modo di cognizione previo a quello mentale e piú ricco di questo: il modello non-duale. Poiché, come afferma lo psicologo Giorgio Nardone -autore del libro "Cogito ergo soffro" ("penso dunque soffro")-, "è una perversione dell'intelligenza credere che la ragione risolva tutto". Letto il testo a partire dal modello non-duale, l'orizzonte segnalato nello stesso viene radicalmente ampliato: ciascuno, ciascuna di noi siamo, in realtà, il "figlio amato" di cui si parla nel testo.
"Figlio amato/Figlia amata": ecco uno dei nomi della nostra identità, quella che condividiamo con tutti gli esseri. Il termine "figlio" però non fa riferimento ad una realtà presumibilmente separata da un'altra che chiameremmo "padre" -questo è il linguaggio mentale-, ma si tratta di una Realtà unica, nella sua duplice faccia: infatti "padre" e "figlio" possono darsi solamente in una stessa relazione; ciascuno di essi "rende possibile" l'altro.
Detto in un modo piú semplice, la parola "Padre" vuole designare il Fondo invisibile ed unico di tutto ciò che è; la parola "Figlio" allude al visibile e manifesto.
Per dirla con le parole poetiche di Javier Melloni, si tratta della "Profondità originaria (Padre-Madre) delle acque dandosi nel Figlio, il Figlio-Vaso ricevendosi dal Fondo che lo genera continuamente per ritornare a lui per il flusso incessante del Vento-Spirito. Non siamo che in questo unico e stesso Fondo. Partecipiamo di esso come moto ondoso vivendosi in noi. Attraverso la nostra esistenza ritorniamo alla Sorgente che si versa nel Mare da dove proviene" (J. Melloni, Sed de Ser, Herder, Barcelona 2013, p.20).
E prosegue sempre Javier in maniera molto bella: "In ogni atto vero diamo alla luce Colui che ha dato alla luce noi affinché lo manifestiamo. Il Mare si esprime nelle sue onde. Le onde rendono visibile il Mare. Nel lasciare uscire quello que è piú genuino in noi, permettiamo al mare di essere onda in noi" (Ibid. p.84).
Nelle nostre "forme" concrete, storiche e temporali, siamo manifestazione ed espressione di quel Fondo che, simultaneamente, costituisce la nostra identità piú profonda. A ragione si parla di "intimità divina": non è possibile nessuna separazione o distanza; siamo, allo stesso tempo, l'onda e l'Oceano. E cosí ci percepiamo in noi stessi: come "onda" quando ci pensiamo; come "Oceano" quando, semplicemente, facciamo tacere la mente e poniamo l'attenzione nel non-pensiero.
Ci pensiamo come "figli amati/figlie amate", permanentemente e amorosamente sostenuti nel grembo di Colui che ci vive -il quale possiamo chiamare "Padre/Madre" o "Tu"- e che si vive attraverso noi.
E ci ri-conosciamo -ormai senza attaccamento egoico- come quello stesso Fondo che identifica tutto ciò che è. In questa esperienza scompaiono tutte le barriere e separazioni e, con queste, ogni paura ed ogni solitudine.
Per sperimentarlo, è soltanto necessario fare tacere la mente. Senza questo, non vedremo che ombre, e continueremo ad essere immersi nell'ignoranza basica e quindi nella sofferenza.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini