SAPIENZA E COMPASSIONE
Enrique Martínez LozanoMt 5, 38-48
Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne due con lui. Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti. Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno cosí anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno cosí anche i pagani? Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
*****
Inizialmente, può sembrare strano leggere una tale consegna: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste". Soprattutto, se siamo consapevoli sia delle nefaste conseguenze del perfezionismo sia dei problemi non risolti che questo vuole nascondere -e che di solito hanno un rapporto diretto con sensi di colpa e di indegnità-.
Alcuni esegeti interpretano che, in ebraico, si vorrebbe alludere a qualcosa di "completo". In questo senso, l'invito ad essere "perfetti" andrebbe inteso come una chiamata ad accettarsi in tutta la propria verità. Questo senso si intenderebbe a partire da un'antropologia umanistica, come un principio basilare di unificazione e crescita: accettati con tutta la tua verità, con la tua luce e la tua ombra, con le tue scelte giuste e con i tuoi sbagli, con le tue qualità e con i tuoi difetti...
Ma non sarebbe strano che lo scriba autore del vangelo avesse veramente voluto fare una chiamata alla "perfezione", cosí come l'hanno intesa molte persone religiose lungo la storia. Lo stesso gruppo dei farisei si caratterizzava per un atteggiamento di questo genere, e numerosi collettivi religiosi sono nati e cresciuti secondo questo modello del cosiddetto "ideale di perfezione", il quale ha generato tanta rigidità, sensi di colpa, scrupoli... e fariseismo.
Non sarebbe dunque strano che questa fosse l'interpretazione di Matteo; Luca invece modificherà le parole di Gesú per scrivere: "Siate misericordiosi [compassionevoli], come è misericordioso [compassionevole] il Padre vostro" (Lc 6, 36). Indubbiamente, quest'espressione appare piú adeguata, anche tenendo conto di tutto il contesto.
La compassione costituisce uno dei nòccioli del messaggio evangelico, ed è stata in modo particolare sottolineata da Luca. Gesú appare fondamentalmente come l'uomo compassionevole e fraterno, al punto di immedesimarsi in ogni persona, e specialmente in quelle bisognose, arrivando a dire: "Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli piú piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25, 31-45).
Perché la compassione nasce dalla comprensione. Solo quando io so -non in maniera concettuale, ma esperienziale- che "tu sei un altro io", nascerà dal mio cuore un sentimento compassionevole e un'azione efficace in tuo favore.
E solo allora saremo in grado di leggere e capire la parole di Gesú, raccolte nel testo che stiamo commentando. Senza questa esperienza -senza la sapienza che nasce oltre la mente- è impossibile amare il nemico, dare il mantello a chi vuole toglierti la tunica, o non respingere chi ti domanda.
Un tale atteggiamento nasce unicamente in quelle persone che, consciamente o inconsciamente, si vivono in connessione con la loro vera identità, l'identità condivisa con tutti gli esseri. Altrimenti, diventa impossibile. E trasformiamo il testo del vangelo in un principio moraleggiante che richiede qualcosa di disumano, finendo per essere frustrati, delusi o cinici.
Viversi in connessione con la vera identità implica l'aver preso le distanze dall'ego, a un punto tale da non credere piú che ciò che è buono per l'ego sia buono per me. E cominciare a scoprire proprio il contrario: la persona che "io sono" sa bene che "il tuo bene è il mio bene", perché siamo solo uno.
Succede però che questo non si può vedere e neanche vivere a partire dall'io. Poiché, finché duri la nostra identificazione con questo, non potremo fare altro che sostenerlo ad ogni costo e a qualsiasi prezzo.
Tuttavia, nei momenti in cui ci troviamo in connessione con la nostra vera identità, non solo amiamo ciò che è, ma vediamo cadere ogni esigenza egoica, perché l'ego ha smesso di essere il nostro centro di interesse.
La conclusione alla quale giungiamo appare evidente: si tratta di favorire la comprensione, di crescere in consapevolezza. E questo comporta il procedere avanti nella disidentificazione dall'io. Qualunque mezzo ci aiuti a riconoscere che non siamo l'io sarà il benvenuto, quale strumento che ci fa crescere in libertà e nella consapevolezza della nostra vera identità.
Questa è, a mio avviso, la ragione ultima per cui Gesú non fu un moralizzatore, ma un maestro di sapienza. Poiché solo a partire dalla sapienza (= il riconoscimento "assaporato" della nostra vera identità) diventa possibile la compassione.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: Teresa Albasini