RELIGIONE ED EGO
Enrique Martínez LozanoMc 12, 38-44
Diceva loro mentre insegnava: "Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna piú grave."
E sedutosi di fronte al tesoro, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova vi gettò due spiccioli, cioè un quattrino. Allora, chiamati a sé i discepoli, disse loro: "In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro piú di tutti gli altri. Poiché tutti hanno dato del loro superfluo, essa invece, nella sua povertà, vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere."
Probabilmente fu la parola "vedova" a far sí che fossero messi insieme questi due racconti: la durissima critica agli scribi, i quali vengono accusati, fra le altre cose, di "divorare le case delle vedove e di ostentare di fare lunghe preghiere", e l'enigmatico episodio della "vedova povera" che mette nel tesoro del tempio "tutto quanto aveva per vivere".
Il primo di questi racconti contiene la denuncia di un comportamento che non è inconsueto presso l'autorità religiosa: l'uso di vesti speciali, la ricerca del riconoscimento sociale, l'uso di titoli pomposi ereditati dal passato e lontani dalla vita quotidiana, la brama di occupare i posti importanti, l'affare economico a costo talvolta di persone bisognose... Nemmeno un anticlericale sarebbe stato piú duro. Eppure sono parole del vangelo.
Simili atteggiamenti, se mostrati da persone religiose, provocano ancora maggior dolore e suscitano maggiore scandalo, dato che queste sono solite predicare proprio l'opposto. Ma, in realtà, sono comportamenti che insidiano tutti noi, poiché definiscono bene quale sia il funzionamento abituale dell'ego.
L'ego, quell'insieme di bisogni e paure, non può cercare altro che la propria autoaffermazione, costi quel che costi. E, dato che l'ego può muoversi soltanto nel mondo degli oggetti, lo fa seguendo le strade dell'avere, del potere e dell'apparire.
Sappiamo che l'ego è solo un errore di percezione. Non risponde ad alcuna realtà consistente, ma è semplicemente l'esito di un processo di identificazione della mente con certi modelli mentali ed emozionali, insieme con le esperienze e le situazioni vissute. Nei confronti di tutto questo, la mente imparò a dire "mio" dando origine all'ego, con una conseguenza inaspettata: attribuiamo all'ego un'entità in sé stesso e finiamo per essere convinti che fosse stato quello a costituire la nostra vera identità.
Prodotto l'equivoco, ormai non potevamo fare altro che vivere per l'ego. In questo modo diventammo marionette nelle sue mani e tutto il nostro comportamento restò segnato dall'egocentrazione.
La nostra vera identità può essere rimasta addormentata o addirittura schiacciata sotto il peso di un ego che soffoca qualsiasi altra voce, ma fortunatamente non è stata eliminata. Possiamo dunque continuare a sperimentarla, anche solo in forma di desiderio o persino di insoddisfazione. Difatti suol essere l'insoddisfazione, il disincanto o la noia a far sí che ci mettiamo in cammino per cercare in profondità quello che siamo realmente, e che sa di pienezza. Quello che non può mai essere colpito negativamente, che si trova sempre in salvo, e che rende possibile in maniera efficace il nostro decentramento dall'ego.
D'altra parte, l'immagine della vedova, nella seconda parte del racconto, e dovuto precisamente al contesto, sembra offrire diversi significati. Innanzitutto sarebbe il riflesso -come antitesi degli scribi- della persona disidentificata dal proprio ego, al punto di essere capace di dare tutto.
Ma sono anche possibili altre letture: in una di queste la vedova rappresenterebbe le persone, soprattutto donne in strutture patriarcali o maschiliste, che sono vittime del sistema, in questo caso religioso: quelle i cui beni vengono "divorati" dall'autorità.
Infine la vedova sarebbe non solo vittima ma anche colpevole di sostenere quel sistema che va contro la sua vita. Poiché è lei che, proprio con la sua elemosina -fin quello che le serve per vivere- continua ad alimentare una struttura sfruttatrice e caduca. (Non va dimenticato che, nel vangelo di Marco, cosí come in quello di Giovanni, il tempio -e la religione che esso sosteneva- sono stati dati per scaduti.)
Nel complesso, il doppio racconto richiede di mettere in questione, in maniera lucida, ogni struttura di potere, particolarmente religioso; di mettere in questione fino i minimi particolari, quali ad esempio le vesti.
Richiama l'attenzione il fatto che, in questa critica, vengano espressamente menzionate le "preghiere". Persino quello che dovrebbe essere l'attività piú disinteressata e gratuita, com'è la preghiera, si può trasformare in un alibi per ottenere benefici.
In ogni caso, al di là dell'aspetto specificamente religioso, possiamo leggere il racconto in chiave di (dis)identificazione egoica, come un appello ad essere lucidi delle nostre proprie trappole e un invito a ritrovare la nostra identità piú profonda, Quella la cui voce possiamo ascoltare quando facciamo tacere la mente e le grida dell'ego.
Enrique Martínez Lozano
Traduzione: M.Teresa Albasini