L'INGANNO CHE CI IMPEDISCE DI VEDERE
Enrique Martínez LozanoMc 6, 1-6
Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: "Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?" E si scandalizzavano di lui. Ma Gesú disse loro: "Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua." E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarí. E si meravigliava della loro incredulità.
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La mente è un baule di etichette: "gradevole/sgradevole", "bello/brutto", "importante/insignificante", "amico/nemico"... In realtà, pensare non è altro che imporre nomi e forme alla realtà. Frequentemente, nell'uso delle etichette di cui dispone, la mente vuole proteggere l'io, rispondere alle sue necessità e rafforzarlo nella sua (illusoria) sensazione di identità separata.
La mente si affanna in questo lavoro specialmente quando l'io si sente minacciato, il che succede spesso nell'ambito dei rapporti interpersonali.
Per difendersi, autoaffermarsi o spiccare, l'io usa delle etichette che tendono a squalificare gli altri. In questo modo, raggiunge una sensazione di sicurezza e di superiorità, nelle quali si arrocca per cercare di esorcizzare l'insicurezza che lo attanaglia.
Con questo modo di fare, l'io rafforza, simultaneamente, la sua tendenza alla separazione e alla routine quotidiana. Ragion per cui, nella misura in cui ci identifichiamo con esso, ci priviamo della possibilità di vivere l'unità che siamo e ci impediamo di sperimentare la novità del presente.
L'io ha bisogno della separazione, perché solo cosí può autoaffermarsi: vedendo gli altri "di fronte a" lui. Se la persona si installa in questo inganno, rimane accecata per percepire l'unità che condividiamo. Si adatta alla routine, cercando la sensazione di sicurezza che questa le fornisce: ogni volta che "etichettiamo" ci chiudiamo alla novità unica che una persona o un avvenimento racchiudono in sé.
La conseguenza è chiara: aumentano la solitudine e la noia. È il destino dell'io. Ma, dato che anche queste sensazioni lo incomodano, si sentirà spinto in modo ossessivo a cercare dei compensi, sulla via della "distrazione" permanente. Distratto e narcotizzato, l'io cercherà di sopravvivere, in una specie di giostra edonistica che non lo porta da nessuna parte.
L'uscita, invece, si trova da un'altra parte: occorre smascherare "l'inganno dell'identificazione".
Di un modo tanto incosciente quanto efficace, abbiamo trascorso la vita identificandoci con una serie infinita di oggetti, e in questo modo abbiamo costruito una sensazione di identità finita per essere, essa stessa, un altro oggetto.
Nel processo di socializzazione ci siamo identificati con il nostro corpo, i nostri sentimenti, pensieri, desideri, paure, successi, fallimenti, con la nostra immagine... e abbiamo finito per dire a noi stessi: "questo sono io".
La realtà invece è un'altra. Tutto ciò è qualcosa che abbiamo, ma non può costituire la nostra identità piú profonda, quella che è cosciente di tutto questo. Quello che siamo non può essere oggettivato e neanche alterato o danneggiato.
Corpo, mente, psichismo... sono realtà che abbiamo, ma nessuna di esse costituisce la nostra identità. Se ci riduciamo a queste realtà, entriamo nell'ignoranza riguardo a noi stessi e generiamo una sofferenza sterile.
Fa' "un passo indietro"! Osserva queste realtà e domandati: chi sta osservando?, chi è cosciente di tutto questo? E sarai portato alla connessione con una Realtà illimitata che sa di Presenza e di Pienezza, nella quale non c'è posto per la solitudine e la noia.
È questa la nostra identità. E una volta qui, non ci resta che ancorarci ad essa, sino a familiarizzarci con chi veramente siamo. Nel tentare di farlo, sentiremo il peso dell'inerzia di anni, che ci porta a credere, una e piú volte, che siamo la nostra mente. Non cedere, non perdere le distanze prese da essa, non dare ascolto ai suoi canti di sirena...! Rimani in contatto con il Fondo di ciò che è reale, lo stesso e unico Fondo di tutto ciò che è!
Nel testo del vangelo che commentiamo, i compaesani di Gesú, invece di aprirsi alla novità di quello che in lui si manifesta, optano per ricorrere a etichette con cui squalificarlo. Cosí facendo collocano in sé stessi una sorta di filtro che impedisce loro di vedere.
Quando questo accade, il miracolo -la novità- diventa impossibile; resta soltanto la routine quotidiana del già visto. Nello stesso modo in cui il Fondo della realtà è sempre nuovo, sa di freschezza e di vita, l'identificazione con la mente e con le esigenze dell'ego ci confinano in una monotonia superficiale e tediosa.
Gesú -dice il testo- "si meravigliava della loro incredulità", cioè della loro incapacità per vedere piú in là, della loro resistenza a connettere con il Fondo, dell'ignoranza in cui decidevano di rimanere installati.
Enrique Martínez Lozano
Traducción de Teresa Albasini